Ho risposto con gioia all’invito di far parte di questo Premio.
Ho condiviso con Bianca, con distanze e vicinanze mutate nel corso di tanti anni, stagioni diverse della nostra passione per il femminismo internazionale, per i suoi contenuti e per le sue possibilità /praticabilità in quella che allora si chiamava “Cooperazione allo Sviluppo”, anche se, allora, era proprio il concetto di sviluppo che il pensiero femminista identificava come problema, mettendone in discussione le premesse teoriche implicite, e con esse le dinamiche, le pratiche e la sua sempre troppo poco analizzata anima coloniale.
Mi piace l’idea di dare continuità e visibilità alla complessità dei temi impliciti in queste passioni condivise, che erano anche i temi fondamentali del femminismo di allora.
Io ero partita dall’educazione popolare nei quartieri periferici milanesi, ispirata all’esperienza brasiliana di Paulo Freire, allora in esilio a Ginevra, esperienza che sarebbe stata una componente importante delle 150 ore, quello straordinario esperimento educativo in cui insieme, operai, sindacalisti, professori universitari, studenti, pensavamo di “rifondare la cultura dal basso”, a partire dalla vita delle classi subalterne, dando voce sia “alla classe” che all’ esperienza dei singoli. Dalla confluenza delle 150 ore con il nascente femminismo degli anni ’70, e poi dal desiderio di una ulteriore continuità sarebbe nata, negli anni ’80, l’esperienza dei corsi monografici sindacali per sole donne nelle Università, e poi la Libera Universita’ delle Donne.
A me interessava capire quanto e cosa questa esperienza femminista italiana, milanese, borghese e popolare insieme, avesse in comune con donne di mondi diversi. Cercavo somiglianze e differenze significative. E un canale non solo teorico per praticare e capire era la Cooperazione allo sviluppo. A Bianca interessava la possibilità di usare i meccanismi istituzionali per immettervi la cultura dei movimenti.
Esplorammo la Cooperazione allo sviluppo in un’ottica femminista.
In questo contesto, inizialmente in un piccolo gruppo italiano creammo uno spazio, una rete tra coloro di noi che partecipavano in modi diversi all’inizio delle esperienze femministe internazionali.
Ci ritrovammo poi con Bianca in quella straordinaria stagione delle Conferenze ONU sullo Sviluppo Umano degli anni ’90, caratterizzato da un vero confronto tra movimenti di base, esponenti governativi, intellettuali, tutti e tutte presenti insieme in istanze comuni e/o parallele tra le Conferenze Ufficiali e i Forum delle Donne che accompagnavano le Conferenze. Nei Forum ci si confrontava anche direttamente con le differenze tra donne dovute ai privilegi di razza, di classe, di collocazioni di potere, agendo direttamente e conflittualmente quella che sarebbe stata chiamata poi “l’intersezionalità”, con le domande che da questi luoghi partivano, sfidando il femminismo occidentale bianco per tutti gli aspetti di potere, politico, economico e culturale, ben presente anche nella Cooperazione Internazionale.
Attorno all’esplorazione pratica e teorica di questi nodi ci siamo viste, perse di vista, reincontrate, con un affetto immutato, anche negli ultimi tempi della sua vita.